Vantaggi di un sistema di misurazione del rischio fornitura

La perdurante situazione di volatilità dei mercati finanziari e industriali, ovvero l’aumento dell’ampiezza delle oscillazioni dei prezzi e della domanda, nonché l’incertezza sugli scenari futuri, in particolare quelli geo-politici, ha incrementato la percezione di fragilità e precarietà.

Tutto ciò trascina un aumento dei rischi, ovvero della probabilità che quanto tanto accuratamente pianificato non si concretizzi, aprendo ulteriori scenari di debolezza strategica, di smarrimento organizzativo.

Filiere produttive e distributive worldwide (global sourcing), creano opportunità (riduzione costi di produzione e logistici), ma introducono rischi (fluttuazione tassi di cambio, rischi geo-politici, terrorismo internazionale, rispetto normative locali nello scambio merci tra Paesi, ecc.).

Le logiche Lean hanno permesso di ridurre il working capital, aumentando l’efficienza dei processi e abbattendo le scorte. Processi che avevano come presupposto la stabilità, la ripetibilità, la partnership con pochi fornitori ben selezionati.

L’aumento della turbolenza dei mercati, l’accelerazione dei processi di sviluppo di nuovi prodotti e servizi per scovare e soddisfare i bisogni dei nostri clienti, i maggiori rischi di interruzione o rallentamento dei rifornimenti attraverso le frontiere internazionali, stanno seminando dei question mark sulle scelte lean “a prescindere”, non filtrate da un approccio risk-based.

Il Supply Chain Council ha dato una definizione di Supply Chain Risk Management (SCRM), ovvero l’identificazione sistematica, la valutazione e la quantificazione delle potenziali perturbazioni della filiera logistica, con l’obiettivo di fotografare il livello di esposizione al rischio e ridurne l’impatto (negativo) sulle performance. È necessario sviluppare strategie volte a controllare, ridurre o eliminare del tutto il rischio.

Occorre pertanto predisporre interventi preventivi che limitino la probabilità di accadimento di un evento negativo o che, nel caso in cui ciò non sia possibile (eventi catastrofici), ne limitino le conseguenze per garantire la continuità del business.

Prevenzione e protezione: sono due aspetti importanti della gestione del rischio. Mutuando l’approccio del rischio consolidato nell’ambito della sicurezza, possiamo definire un

Indice di Rischio r = f • m

Ovvero il prodotto tra una frequenza (f) e una magnitudo (m).

Frequenza, intesa come probabilità di accadimento.

Magnitudo, da correlare alla gravità del danno conseguente.

Per contenere il rischio [r] dobbiamo pertanto agire su entrambe le leve, prevenzione e protezione. 

Prevenzione

Agisce riducendo la probabilità di accadimento (intensificare verifiche, controlli, multiple sourcing, tratte logistiche, …).

Protezione

Agisce diminuendo la gravità del danno (alternative di fornitura, exit strategies, contingency plan, simulazione scenari, …).

Il processo di stima del rischio passa attraverso le fasi di:

  • Identificazione
  • Analisi
  • Valutazione

Il contesto è mutevole, e pertanto il processo va monitorato e reiterato periodicamente (Prevenzione).

Il metodo da seguire si ispira liberamente al ciclo di Deming PLAN-DO-CHECK-ACT (Pianificare – Fare – Verificare – Agire).

La prima fase, l’Identificazione, ci richiama alla mappatura dei rischi sui processi, e all’estrema criticità di questa fase. Il problema principale risiede nell’evitare di segregare, sezionare i processi, escludendo dall’identificazione stessa attività interne o esterne che possono nascondere rischi che occorre gestire. È questo il motivo principale per cui questa fase deve essere condotta con competenze multi-funzionali.

Non è inutile sottolineare l’estrema importanza di un elevato coinvolgimento della Direzione aziendale, che deve essere aiutata a maturare consapevolezza di tutti i rischi connessi al business.

Riportando la fase di identificazione dei rischi su un terreno dove il Procurement può meglio esercitare le proprie competenze, certamente il ruolo che possiamo meglio assumere come professionisti degli acquisti è quello di supportare la Supply Chain nell’individuare i rischi connessi ai processi di Procurement, collegarli alla relativa magnitudo, monitorare il livello di rischio, concordare piani per ridurre la probabilità di accadimento, costruire modelli predittivi e simulare diverse exit strategies, per aumentare la resilienza della catena logistica e produttiva.

Misurazione del rischio

Vediamo quali “dimensioni” considerare nel progettare un modello di valutazione Rischio Fornitura e alcune espressioni di tali assi di valutazione:

A) Criticità

  • Numero fonti di approvvigionamento già omologate.
  • Fonti di approvvigionamento potenzialmente attivabili.
  • Certificazioni di terze parti .
  • Necessità di trasferire attrezzature specifiche.
  • Particolari a disegno e/o su specifica della nostra azienda.
  • Reperibilità (LeadTime LT articolo rispetto al LT complessivo della famiglia prodotti).
  • Quota parte del fatturato influenzato dall’articolo/fornitore.
  • Vendor Rating fornitore.

B) Importanza

  • Margine lordo ([Prezzo di vendita – Costo pieno] * Quantità attese) influenzato dall’articolo e/o dal fornitore.
  • Valore dell’articolo (classe ABC).
  • Total Cost of Ownership (TCO) dell’articolo.

A ciascun fornitore attivo verrà assegnato un livello di rischio costruito a partire da questi elementi di valutazione.

Questo indice (SUPPLY RISK) è la sintesi di aspetti derivanti sia dall’identità del fornitore sia dalla specificità degli articoli acquistati presso la sua azienda.

Possiamo adottare una matrice, che prende spunto da quella di Kraljic, dove i fornitori sono classificati in base al quadrante di riferimento della matrice.

Riprendendo a questo punto il nostro processo di stima del rischio, la fase successiva consta nell’individuare attività utili a spostare i supplier presenti nei quadranti di destra verso i quadranti a sinistra nella matrice.

L’efficacia del processo risiede in buona parte nell’aver individuato in questa fase azioni realmente utili, ovvero di prevenzione o protezione, e nel portarle avanti con metodo e tenacia affinché non restino solo delle “buone intenzioni”.

La continuità con cui revisionare i nostri rischi “emersi” e scovare quelli che si annidano è l’altro elemento che rende efficace un modello operativo di Risk Management.

Essere solidali nelle relazioni significa essere deboli?

Cosa significa essere solidali nell’ambito delle attività commerciali? Dizionario alla mano significa essere “concordi con altri nel modo di pensare, di sentire o di agire, e pronti a condividere le responsabilità e gli impegni da essi assunti”.

La solidarietà quindi comporta vicinanza, conoscenza e fiducia. La fiducia può nascere dalla conoscenza, essere rafforzata dall’esperienza, oppure può sorgere spontanea in base all’empatia che proviamo per gli altri, alle affinità di una visione comune su come affrontare le sfide del mercato. Le vie per arrivare a essere solidali sono tante, ma il risultato poi è unico: condividere responsabilità e impegni.

L’unione fa la forza? Lo credevano fortemente gli antichi romani, che attraverso le famose tecniche di combattimento, quali la formazione a testuggine, vinsero migliaia di battaglie e costruirono un impero.

Lo credeva Aristotele, convinto che “il tutto è maggiore della somma delle parti”.

Lo conferma l’analisi dei sistemi complessi, dove il comportamento di un sistema complesso non è spiegabile attraverso l’analisi delle interazioni lineari tra le singole parti che lo compongono.

Proviamo a mettere insieme questi diversi concetti e tentare una sintesi che mi piace molto, in cui credo fortemente. Essere solidali con i nostri fornitori crea un vantaggio competitivo perché ci permette di agire in modo sincrono, veloce e potenziare il risultato.

Ci permette di individuare e riparare un anello debole della catena prima che si spezzi.

Perché il modello di filiera solidale sia sostenibile nel tempo occorre che le motivazioni alla base dell’agire permangano, non vengano meno. 

Quindi occorre obiettività e sincerità nel dichiarare gli obiettivi di business. Occorre credere in un modello collaborativo e distributivo, dove il valore aggiunto venga ridistribuito nella filiera in modo equo, dando la possibilità ad ogni attore della catena di accrescere le proprie potenzialità a servizio di tutta la filiera.

Ricordiamoci, viviamo in sistemi complessi, dove l’ecosistema dove operano i nostri fornitori si interseca con quello dove operano i nostri clienti. Indebolire l’uno significa indebolire anche l’altro.

Quando selezioniamo i nostri partner di fornitura e negoziamo i termini economici ed organizzativi delle relazioni, teniamo presenti questi aspetti e tutte le opportunità che possono venire dal condividere in modo consapevole e solidale impegni e rischi.

La gestione del rischio valuta negli approvvigionamenti – parte 2

Nella prima parte di questo articolo avevo introdotto il tema delle coperture finanziarie e delle strategie operative utili a mitigare il rischio valuta nelle transazioni commerciali.

La gestione del rischio valuta negli approvvigionamenti – parte 1

Vedremo ora un altro strumento di copertura del rischio valuta.

C. OPZIONI CONTRATTUALI

Una diversa opzione è quella di gestire il rischio valuta mediante opzioni contrattuali, con clausole di aggiustamento dei prezzi a mitigazione del rischio volatilità valuta.

Integrare competenze specifiche dell’area Acquisti con quelle derivanti dal Finance e Legal permette di ottenere i migliori risultati, in termini di efficacia e costi.

Quali sono le opzioni contrattuali più utilizzate?

Price escalation clauses: concordare con il fornitore un cambio di riferimento per la valuta che sottende quella utilizzata per le transazioni, concordare un range di oscillazione ammissibile entro cui non variare il prezzo di cessione e stabilire una frequenza di verificare/revisione dei prezzi sottostanti l’accordo.

A titolo di esempio, con fornitore UK da cui acquistiamo con regolarità/continuità in Euro dei prodotti ad un prezzo di 10 Euro cadauno, avremo interesse a definire che l’accordo è stato siglato con un cambio GBP/Euro pari a 0,86; stabiliremo una range di oscillazione (0,84÷0,88) e una frequenza di revisione, diciamo 6 mesi. Trascorsi sei mesi ipotizziamo che il cambio medio nell’arco del periodo sia stato pari a 0,83. A questo punto, essendo fuori dal range di neutralità dovremo aggiustare il prezzo. In che misura? Di una percentuale pari al rapporto 0,86/0,83 e quindi del +3,6%. 

Altra opzione contrattuale è la risk-sharing clause: le parti concordato di tenere invariato il prezzo all’interno di un’ampia forbice di fluttuazione, all’esterno della quale tipicamente si divide il rischio al 50%.

Questi accordi eliminano l’effetto di gioco a “somma zero” che è naturalmente legato alla fluttuazione valutaria, dove una parte ne beneficia a spese della controparte.

Vediamo un esempio: supponiamo che si debba acquistare da un fornitore USA un impianto di climatizzazione del valore di 100.000 USD, che pagheremo tra 3 mesi. Stabiliamo che il cambio di riferimento da utilizzare è 1,10 USD/Euro e che la banda di neutralità è nel range 1,05÷1,15. Supponiamo che al momento di pagare il cambio sia andato a 1,17. In tal caso anziché costarci 100.000/1,17 = 85.470,09 Euro andremo a pagare l’impianto 100.000/1,135 = 88.105,73 Euro, riconoscendo al fornitore un extra-prezzo pari a 103.083,70 USD (+3,08%), avendo diviso al 50% il vantaggio a nostro favore del cambio al momento dell’evento finanziario.

EFFETTO DELLE FLUTTUAZIONI TRA LA VALUTA DI SCAMBIO E QUELLA LOCALE

Nella gestione approvvigionamenti le valute hanno però un effetto che va oltre quello relativo al solo impatto diretto sulla transazione. Mi riferisco in particolare alla fluttuazione della valuta locale dei paesi dove viene realizzato il bene/servizio che acquistiamo.

Questo elemento di analisi impatta sulle dinamiche di negoziazione con il fornitore, che al variare del cambio relativo tra la valuta di scambio e quella locale potrà vedersi aumentare o ridurre le proprie marginalità.

La capacità di monitorare tali situazioni con tempestività ci permette di anticipare situazioni di potenziali richieste di aumento prezzi o sollecitare negoziazioni dove vediamo spazio per una riduzione dei prezzi.

Vediamo anche in questo caso un esempio. Supponiamo che con un nostro fornitore indiano abbiamo concordato a marzo 2019 un prezzo pari a 100 USD per un prodotto di nostro interesse. A marzo ’19 il cambio rupia indiana INR/USD era pari a circa 68,5. Supponiamo che il fornitore consumi 20 Kg di alluminio per ogni prodotto realizzato per noi. Facciamo anche l’ipotesi che il prezzo dell’alluminio sia invariato da mar’19 a dic’19 e sia pari a 1400 USD/ton. A marzo 2019 il nostro fornitore incassava 6850 rupie e ne spendeva 1,4 x 20 x 68,5 = 1918 per acquistare alluminio. Il margine lordo dei ricavi-costi in valuta era quindi pari a 4932 rupie. Supponiamo che il nostro fornitore abbia altri costi in valuta locale per un totale di 3000 rupie. Il suo margine operativo netto era di 1932 rupie. A dicembre ’19 il cambio INR/USD è salito a circa 71 rupie. Il margine netto del nostro fornitore, a parità di altri fattori, è salito a 2112 rupie (+9,3%). Su questa base possiamo chiedere una rinegoziazione dei prezzi al ribasso. 

CONCLUSIONI

La capacità di monitorare le dinamiche valutarie e proporre/attivare strumenti di hedge ci permette di limitare i rischi d’impresa.

La conoscenza dell’andamento delle valute locali dei nostri fornitori ci rende proattivi nell’attivare momenti negoziali e coprire situazioni di rischio anticipando acquisti.

Come approfondimenti suggerisco i seguenti testi e autori:

Barbara Gaudenzi, Roberta Pellegrino, George A.Zsidisin and Claudio Bruggi, 2019, Revisiting Supply Chain Risk – Chapter 23, Foreign Exchange Risk Mitigation Strategies in Global Sourcing: The case of Vortice SPA – Ed. Springer

Barbara Gaudenzi, George A.Zsidisin, 2018, The Routledge Companion to Risk, Crisis and Security in Business – Chapter 21, Transcending beyond finance for managing foreign exchange risk, Ed. Kurt J. Engemann

Qui link all’articolo pubblicato su Linkedin

La gestione del rischio valuta negli approvvigionamenti – parte 1

Questa è la prima parte di un articolo dove intendo dare suggerimenti operativi su come gestire il rischio valuta (FX risk) lungo la supply chain.

Le fluttuazioni delle valute hanno un impatto rilevante sui risultati aziendali, sia per chi opera direttamente in valuta sia per chi acquista beni fortemente influenzati dai cambi.

In ambito acquisti l’effetto della valuta può essere separato in due dinamiche, una relativa alla valuta utilizzata per le transazioni commerciali e l’altra attinente variazioni tra la valuta di scambio e la valuta locale.

EFFETTO DELLA VALUTA SULLE TRANSAZIONI COMMERCIALI

Le variazioni del tasso di cambio tra la valuta utilizzata per le transazioni commerciali e quella dell’azienda che acquista beni e servizi in valuta hanno un impatto diretto su:

  • Profittabilità
  • Liquidità (cashflow CF)
  • Competitività prezzi di vendita dei prodotti, posizionamento commerciale

Quali strategie abbiamo a disposizione per mitigare o neutralizzare il rischio valuta così espresso?

A.   HEDGING

Una strategia consolidata è la copertura finanziaria, nota come hedging. In cosa consiste?

Nell’ambito delle valute ci sono diverse forme di hedge. Le più diffuse sono:

  • Contratto di cambio a termine (forward)
  • Contratti future in valuta
  • Contratti derivati con opzione “call”
  • Money Market per valute

Nel contratto a termine (forward) si fissa il valore di riferimento della valuta alla data dell’operazione, valore spendibile allo scadere del contratto. Se tra 6 mesi devo pagare 1 milione di USD, oggi il tasso di cambio USD/Euro è pari a 1,10 e ritengo ci sia il rischio che tra 6 mesi il cambio si posizioni sotto il valore di 1,10 allora posso attivare un contratto al cambio attuale (+ il premio dell’operatore finanziario) che mi garantisce che alla scadenza pagherò il milione di USD al cambio di 1,10 (+ premio).

I contratti futures funzionano sostanzialmente nello stesso modo. La differenza principale è che i futures sono regolamentati e garantiti sul mercato, mentre i forward sono accordi privati, con maggiori rischi che una delle due parti non onori il proprio impegno.

Contratto derivato con opzione di tipo “call”: è un’opzione ad acquistare un certo valore in valuta a un tasso di cambio definito. Questa opzione può essere esercitata o meno, tipicamente in funzione della convenienza al momento della scadenza. Nell’esempio precedente, se alla scadenza il tasso di cambio USD/Euro sarà inferiore a 1,10 eserciterò l’opzione, altrimenti no.

È un prodotto finanziario con costi superiori ai contratti a termine, che invece impegnano all’acquisto al momento della scadenza.

Il money market (mercato finanziario specializzato in prestiti a breve termine) mi permette di acquistare il mio milione di USD al cambio di oggi, che ritengo conveniente o che mi permette comunque di neutralizzare il rischio cambio, e utilizzarlo dopo sei mesi per pagare direttamente in valuta il mio fornitore. Se non ho un milione di USD posso prenderli in prestito e investirli in un prodotto finanziario a breve termine che mi permetta di compensare il costo del prestito, ove presente una leva finanziaria favorevole.

I contratti a termine (forward e future) e l’opzione call hanno un costo che dipende da diversi fattori, in particolare dai tassi di interesse e dai cambi forward e spot delle valute coinvolte.

B.   STRATEGIE OPERATIVE

Altre strategie alternative, di tipo operativo e meno frequenti, riguardano la possibilità di allocare la propria produzione in plants localizzati in diversi paesi, in funzione della fluttuazione valutaria. Questa strategia in particolare è tipicamente appannaggio di aziende multinazionali e multi-plant. Inoltre, deve essere possibile esercitare con flessibilità la riallocazione delle quote produttive in funzione della mutata situazione dei cambi valuta, e questo è raramente possibile, se non pagando purtroppo un elevato prezzo sociale.

Una diversa strategia operativa è agire sulla flessibilità delle fonti di approvvigionamento, in base alla valuta di transazione concordata. Questa strategia ha, in modo analogo alla precedente, un vantaggio laterale importante, che è quello di ridurre anche il “rischio paese”, differenziando le fonti e le catene logistiche di supporto.

Nel prossimo articolo, che sarà conclusivo, tratterò l’opzione strategica delle clausole contrattuali e il tema di come affrontare le variazioni tra la valuta di scambio e la valuta locale.

Qui link all’articolo pubblicato su Linkedin

Proactive Procurement

Un tema che affligge chi opera nell’ambito acquisti è da sempre l’elevato livello di operatività, che sottrae tempo prezioso alle attività a maggior valore aggiunto quali valutazione trend di mercato, rinegoziazioni, contrattualizzazioni, valutazione dei rischi e altro. Inoltre spesso la miriade di micro-attività in cui veniamo coinvolti ci distrae dalla verifica di scadenze contrattuali, raggiungimento di bonus commerciali, scadenza listini, impedendoci di preparare in modo adeguato e per tempo le strategie e tattiche negoziali, portandoci in sostanza in una posizione difensiva orientata più al reagire che all’agire. Sulla possibilità di migliorare l’efficienza nelle attività più operative ci sono diverse soluzioni disponibili, offerte dalle più recenti tecnologie quali l’artificial intelligence (AI), il machine learning, i “bots” (ovvero i robots dati). Sono opportunità interessanti, che vanno sposate con la disponibilità della nostra organizzazione ad investire in innovazione a supporto dei processi di procurement, ma sovente il budget degli investimenti nella nostra area di lavoro non è particolarmente sostanzioso.

Qui sotto link all’articolo completo in formato pdf

Uno sguardo lungo sui costi dei prodotti e sulla resilienza dei fornitori

La volatilità dei mercati e la necessità di una rapida riconfigurazione del business, e spesso dell’organizzazione interna, spingono a mutare l’atteggiamento di chi opera nell’ambito dei processi d’acquisto, in particolare di chi è direttamente connesso al mercato, ovvero i buyer e i responsabili di funzione. La mutazione coinvolge l’attitudine ad agire anziché reagire, sviluppando quella proattività utile ad anticipare i trends ed intuire le insidie dei mercati, proponendo ed attuando azioni di disimpegno e preservazione del business, oltre a cogliere opportunità latenti.

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La gestione strategica del Procurement in contesti Engineer to Order

Le organizzazioni che operano in contesti ad elevato contenuto di personalizzazione del prodotto si trovano a gestire il trade-off tra:

  • il valore aggiunto percepito dai clienti e derivante dai contenuti taylor made offerti,
  • costi derivanti dai processi che partono dall’engineering, attraversano una supply chain dinamica e non ottimizzata per un flusso ripetitivo, assorbendo costi difficili da controllare nella condizione di dover rispettare tempi concordati e talvolta contrattualizzati con i clienti.

I costi extra previsione derivano spesso da inefficienze nella gestione del network di fornitura e nel monitoraggio dell’avanzamento attività esterne (le organizzazioni solitamente performano meglio nel monitorare le attività interne piuttosto che quelle esterne).

Un altro weak point da monitorare è il coordinamento tra processi interni ed esterni. Equivoci, una cattiva comunicazione tra noi e i nostri partner di business è spesso fonte di errate decisioni che richiedono successivamente una serie di loop, di riprogettazioni e rilavorazioni, con perdite di tempo e costi da sostenere.

 

LA SELEZIONE DEI FORNITORI

La fase di selezione dei nostri fornitori (in particolare di servizi e sub-fornitori) è fondamentale. Una società che si avvale in modo massivo di servizi di progettazione e ingegnerizzazione esterni deve includere e dare peso nei criteri di valutazione dei propri partner ad aspetti quali:

  • l’omogeneità delle culture aziendali,
  • vision comune di come affrontare i mercati e le sfide che ci pongono,
  • dimensione d’impresa (organico, skills, supporto back-office, …) rapportabile alla nostra organizzazione.

L’EARLY INVOLVEMENT

Altro tema critico è spesso legato all’engineering, all’industrializzazione dei processi di produzione dei componenti del nostro prodotto e del prodotto stesso. Occorre un dialogo continuo con i nostri fornitori, una comunicazione che deve partire con l’avvio del progetto di customizzazione (early involvement), con l’obiettivo di individuare fin da subito infattibilità di processo, soluzioni tecniche valide ma eccessivamente costose, tecnologie che non garantiscono le tolleranze necessarie, etc.

 

LA VERIFICA DELLA CAPABILITY

Non dimentichiamoci che coinvolgere i nostri fornitori ci permette anche di verificare on-time la loro capability, evitando di arrivare alla fine del progetto, al momento di lanciare gli ordini di approvvigionamento dei materiali e semilavorati e riscontrare tempi di consegna non compatibili con le attese del cliente.

 

LO SVILUPPO DEL POLIMORFISMO

Occorre pertanto sviluppare un’attitudine al polimorfismo, ovvero alla capacità di adattare i processi in funzione delle circostanze. Risulta strategico sviluppare relazioni forti con i key-suppliers, progettando una flessibilità nel network di fornitura e introducendo qualche ridondanza a vantaggio della mitigazione dei rischi e della capacità di reazione dell’organizzazione.

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